Tra Terni e San Gemini, il museo ternano a cielo aperto si chiama Carsulae.
Nella Manchester italiana, antiche rovine romane.
Quando ero adolescente, una delle mete per trascorrere ore di svago con gli amici, senza allontanarsi troppo da Terni, era Carsulae.
In realtà era meta di “gite domenicali fuori porta” per famiglie, luogo ambitissimo per vedere le “stelle cadenti” nella notte di San Lorenzo e punto di ritrovo, a ridosso dell’estate, per chi, come direbbero i toscani, “bigiava la scuola”.
Le ore trascorse tra alberi, prati e rovine, seduti in circolo tra gli amici, con un pacchetto di sigarette ed una chitarra, cantando e stonando canzoni, sono tra i ricordi più belli che serbo nella mia mente e, come me, siamo in tanti ad avere ricordi analoghi… ok… c’era anche qualche birretta, ma erano pochissime!
Probabilmente nessuno di noi vedeva, in quei luoghi, tutta la storia che vi era passata e non percepivamo che, quelle pietre che spuntavano dal terreno e che sapevamo esser state case, chiese ed anfitratri, erano state, non un semplice accenno di storia, ma una vera e propria città.
Tra Interamna Nahars (Terni) e Casventum (San Gemini) sorgeva, lungo la via Flaminia, la città di Carsulae; una città definita di epoca romana, anche se, in realtà, registra i primi insediamenti in epoca pre-romana.
A causa di smottamenti del terreno di rilevante entità, tanto che buona parte della città giace ancora sotto metri di terra, Carsulae fu abbandonata dai suoi abitanti e rimase in balia degli eventi per secoli, fino a quando non fu scoperta e dal 1829, in più ondate, riportata parzialmente alla luce da scavi archeologici.
La costruzione della via Flaminia, a cura del Console Caio Flaminio, portò ad una notevole crescita della città di Carsulae, grazie anche all’immigrazione delle popolazioni montane limitrofe e la sua vita attraversò il periodo della Repubblica Romana e quello dell’Impero Romano, ma il declino del ramo occidentale della Flaminia, a vantaggio del ramo orientale, determinò il suo declino.
I tentativi di conquista delle popolazioni barbariche non favorirono la sua stabilità, ma fu un sisma a determinarne l’abbandono, in età medioevale.
Oggi è, giustamente, un museo a cielo aperto, probabilmente da migliorare, ma già gestito egregiamente, dove, oltre alle ovvie visite, si può assistere a concerti che, grazie anche allo splendido scenario, uniscono la poesia della musica alla magia del richiamo della storia.
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